mercoledì 21 novembre 2012


  Cesare Cellini

È possibile, attraverso la parola di un poeta, una rivisitazione della storia, dei drammi che si consumano in essa, delle attese che spingono l'uomo, nel costruire la sua città, verso l'oltre storico e metafisico?
      Sembrerebbe di sì, soprattutto quando ci si trova di fronte ad un poeta nel quale l'esperienza del canto diviene esperienza spirituale. Del resto da Rimbaud in poi o da Hölderlin in poi fare poesia è fare un'esperienza spirituale in cui la conoscenza diviene atto creativo.
      I saggi qui presenti vanno oltre il semplice scandagliare i versi di un poeta, vissuto appena ventotto anni (1965-1993) e che la storia, o il caso, ha voluto che fosse testimone della fine di un secolo e di un millennio. Essi sono frutto di un dialogo fitto e rigoroso che, involontariamente, forse, si è venuto a creare fra il critico e il poeta: un interrogare ed un interrogarsi continuo su temi che costituiscono il vivere e la vita stessa. Un dibattito che dura da millenni: dalla percezione del mistero alla necessità di una conoscenza che vada oltre la storia; dallo scandalo del dolore alla sete inestinguibile dell'amore.
     "È la favola della vita sulle vie del sogno e del mito, da cui si alimenta la poesia che vibra […] nell'attesa […] e diventa ascolto interiore e riflesso dell'infinito, che si fa parola, fino a diventare Parola, umanazione del Verbo" (C. Di Biase)
      C'è in Cellini, scrive Geno Pampaloni, "una luce coscienziale, profondamente religiosa. [...] Può sembrare blasfema, ma è il contrario. [...] È luciferina e al tempo stesso celestiale, intrisa di terra e splendente di luce. Effimera ed eterna"; e Renato Minore giustamente osserva: "preso da un punto di vista filosofico, Cellini risponde da poeta e preso da poeta risponde con l'interrogazione che fu di Pascal, che fu di Kierkegaard, che fu di Heidegger".
      Intimamente ungarettiano, le cui problematiche rinviano però a Pasolini, a Testori, a Turoldo, così come la limpidezza del verso a Sandro Penna, Cellini, come osserva acutamente Gioviale, è un poeta che avverte "l'antico disagio di chi cerca e non trova nella tradizione lirica italiana […] il grande slancio mistico, denso di turgore erotico e di poesia dell'inattingibile, che fa grande la grande lirica di una Teresa di Jesús, di un Juan de la Cruz".
Sergio Collura

 

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