dal Nulla all'Essere totale
Il sentimento dell'essere, la coscienza dell'io che aspira
alla totalità, in una espansione dell'anima che si riflette nel divino, come un
"approdo" definitivo, per superare l'angoscia del "Nulla",
nella condizione umana al di là delle "plaghe remote" dell'universo
fino ad approdare in Dio: su questa tela, di dolorosa, limpida cognizione della
realtà umana, si svolge l'intero percorso della poesia di Cesare Cellini, in
cerca di un Tu infinito, per comunicare il suo dolore, che è amore, e riposare
sulle "ginocchia" di Dio.
Domina, nella limpidezza dell'anima e della parola di
Cellini, un desiderio del divino, cui egli attinge nella chiarità dell'anima
poetica, nel titolo stesso della prima poesia, nella sete del divino, come
la biblica "cerva" che «anela / ai rivi delle acque».
Un'aspirazione ad un infinito, che parte da lontano: si
muove «dalle scogliere/remote/del Mondo», per raggiungere Dio superando
l'ultimo sigillo del mistero dell'"oltre". Ma l'anima poetica è
trepida, e la via incerta, con il rischio del vuoto assoluto: «Di abisso / in
abisso», che il poeta supera con trepido amore, volgendosi a un "Tu":
«io approdo / in Te / Signore». Un approdo di fiducia nel divino, nel mistero
di una infinita "attesa", in un ribaltamento totale, tra il
"nulla" delle cose e l'essere divino: «come dal Nulla / all'Essere
totale».
Una umana attesa, come arcano palpito di "luce", che aspira ad un "incontro" definitivo con Dio stesso, approdo e "ritorno alla casa paterna": di chi avverte la propria esistenza come origine di sé e dell'universo: compresi i sogni del poeta, che sente di appartenere al Padre: come Gesù «figlio Tuo / mio fratello». Come nella seconda poesia, Io voglio ritornare a casa rivolgendosi ad un "Tu"-"Dio" ineffabile ed umano, che è accanto all'uomo ed al poeta. Di chi aspira alla totalità, richiamando l'origine stessa dell'io e dell'universo, di cui si sente partecipe, sin dalla creazione dell'uomo.
In questa seconda poesia (datata 3 maggio 1993, che richiama, insieme alla prima, la sua ultima Pasqua e il suo ultimo compleanno): «Come Allora / sapientemente/mi rivestisti / della Tua futura carne»: una nascita, che è rinascenza, come palpito di vita nuova, che la fede in Dio e la poesia del divino –che in Cellini è tutt'uno– riporta a nuova luce di amore. Perché il suo essere e sognare era fin dalle origini dell'universo partecipe, anzi "pensiero" del divino "pensiero". Uno dei momenti più suggestivi della poesia del divino in Cesare Cellini: «paziente attendo oggi / pensiero del Tuo pensiero / che dalle plaghe remote / dei nulla temporali / in nome del figlio Tuo / mio fratello / [...]».
Una umana attesa, come arcano palpito di "luce", che aspira ad un "incontro" definitivo con Dio stesso, approdo e "ritorno alla casa paterna": di chi avverte la propria esistenza come origine di sé e dell'universo: compresi i sogni del poeta, che sente di appartenere al Padre: come Gesù «figlio Tuo / mio fratello». Come nella seconda poesia, Io voglio ritornare a casa rivolgendosi ad un "Tu"-"Dio" ineffabile ed umano, che è accanto all'uomo ed al poeta. Di chi aspira alla totalità, richiamando l'origine stessa dell'io e dell'universo, di cui si sente partecipe, sin dalla creazione dell'uomo.
In questa seconda poesia (datata 3 maggio 1993, che richiama, insieme alla prima, la sua ultima Pasqua e il suo ultimo compleanno): «Come Allora / sapientemente/mi rivestisti / della Tua futura carne»: una nascita, che è rinascenza, come palpito di vita nuova, che la fede in Dio e la poesia del divino –che in Cellini è tutt'uno– riporta a nuova luce di amore. Perché il suo essere e sognare era fin dalle origini dell'universo partecipe, anzi "pensiero" del divino "pensiero". Uno dei momenti più suggestivi della poesia del divino in Cesare Cellini: «paziente attendo oggi / pensiero del Tuo pensiero / che dalle plaghe remote / dei nulla temporali / in nome del figlio Tuo / mio fratello / [...]».
Un sentimento del divino, nel "Tu-Dio" ineffabile,
cui il poeta si rivolge, come fratello nel dolore dell'universo, che è amore:
da cui sorge la poesia stessa dell'autore che, nella coscienza del mistero
dell'io e delle cose, si rivolge, nella trepida "attesa",
direttamente a Dio "fratello" e "signore": «perché mi
chiami a Te / mio unico Signore».
Il divino è trasportato nell'umano, che in Cellini si fa più
trepido e cosciente, nella consapevolezza della fine della sua
"attesa" (muore nel 1993,
a 28 anni), che richiama nella voce e nell'anima stessa
del giovane poeta un desiderio di amore senza fine. Un morire come rinascita di
"vita nuova" in "continuità di vita", dell'uomo e del
poeta. Come un figlio docile, che conosce il senso di un dolore infinito, che
prende tutti. Dio-padre che ricorda la colpa di Adamo figlio di Dio, come del
poeta stesso, per dimenticare insieme la prima colpa dell'uomo e del poeta: entrambe
«frutto del dolore». Nella trepida attesa di un "oltre" senza fine,
vita della sua vita di fede e di arte in Cellini: che con umana dolcezza aspira
a riposare sulle ginocchia di Dio Padre, proprio nella coscienza del «frutto
del dolore« non solo dell'essere ma di Dio stesso: «e sulle Tue ginocchia / ci
scorderemo insieme / la rivolta di Adamo / e il frutto del dolore». Come si
chiude la poesia.
[1] Riportiamo
qui, a mo' di prefazione dell'ultima silloge poetica di Cesare Cellini, la
presentazione scritta nel Maggio del 2003 per la pubblicazione di due poesie:
"Come la cerva anela / ai rivi delle
acque" e "Io voglio ritornare a casa", in una plaquette commemorativa il decimo anniversario
della morte del poeta. Per una più approfondita analisi cfr. C. Di
Biase, Novecento Letterario
Italiano, Liguori Editore, Napoli, 1997; AA.VV., Cesare Cellini, I silenzi e i
rumori del mondo, antologia critica a cura di S. Collura, Liguori Editore, Napoli, 1999.
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